Nelle ultime due settimane assistiamo ad un‘impennata dei #femminicidi (addirittura tre nel giro di poche ore) e di suicidi di adolescenti vittime di #bullismo.
Un allarme sociale puntualmente ignorato, minimizzato e/o ridotto a casi isolati (che non sono).
Mentre le statistiche ci mostrano la diminuzione, da anni, dei reati gravi come rapine e omicidi, i femminicidi mantengono il dato costante (ma con un inquietante abbassamento del livello d’età dell’assassino), con un aumento dei reati sessuali e dei suicidi nelle fasce più giovani.
Eppure, non si vede neanche l’ombra di una mobilitazione in merito (movimenti femministi esclusi, si intende).
Eppure, non vediamo mettere in campo azioni mirate, incisive, per contrastare e sconfiggere tale “emergenza strutturale” (passatemi l’ossimoro) anzi, possiamo affermare senza tema di smentita di assistere ad un tentativo di Restaurazione nel senso storico-politico del termine.
La politica, nella sua funzione legislativa ed esecutiva, è sempre impegnata a fare altro, a seguire priorità spesso incomprensibili (Decreto Rave), ad inventare nuovi grotteschi reati (Resistenza passiva).
Eppure, si sta parlando di vite spezzate.
Vite di madri, mogli, compagne, fidanzate, sconosciute incontrate per caso…; vite di orfani causa omicidio; vite di figli uccisi da un genitore; vite di vittime di violenze terribili quanto vigliacche, perpetrate (anche) in gruppo da giovani sempre più giovani; vite di ragazzi/e perseguitati, umiliati, torturati psicologicamente fino alla morte.
Nel contempo, l’opinione pubblica appare sedata, quasi anestetizzata, in una sorta di trasversale burn-out collettivo.
Sarà forse la nostra proverbiale “memoria da pesce rosso”, per cui ci indigniamo sul momento gridando al mostro, per ritornare subito dopo alla “normalità”… o c’è dell’altro?
Tutti i reati testé elencati hanno una radice comune: sono Patologie della Relazione.
E allora, tutto diventa più chiaro.
Vittime e carnefici si conoscono.
Si frequentano giornalmente (bullismo); hanno un legame amoroso (violenza nelle relazione intima); vivono insieme (violenza domestica e assistita); sono amici, conoscenti, parenti (violenza sessuale, abusi su minori).
Balza subito all’occhio che la natura di questi reati ci chiama tutti in causa.
E’ molto difficile, nostro malgrado, non fare parte di nessuna delle categorie elencate tantomeno non esserci imbattuti – almeno una volta – in una vittima o agente reato, minori o adulti che fossero.
Spesso, gli stessi ci toccano direttamente in quanto figli, parenti, compagni di vita, amici, conoscenti. Nel caso di un figlio agente reato, ad esempio, significherebbe il fallimento della funzione genitoriale esercitata e conseguente assunzione di corresponsabilità.
Sono queste “implicazioni”, nello stesso tempo sociali e personali – che rendono tutto più complicato e spesso si trasformano in occasione di rivittimizzazione.
Qui sotto un breve – e per niente esaustivo – campione.
- Nel caso di un marito/compagno/fidanzato maltrattante, la vergogna sociale; il senso di colpa; stereotipi culturali; stigma.
- Nel caso di una violenza sessuale subìta, lo stigma sociale del “se l’è cercata”.
- Nel caso del bullismo, l’assenza di solidarietà degli amici; la complicità e /o collusione di chi assiste come spettatore – magari divertito – alle umiliazioni pubbliche; la “cecità” degli adulti e delle istituzioni.
Detto questo, NOI, cosa vogliamo fare?
Perseverare con la memoria da pesce rosso?
Negare la realtà e rispondere di default, in maniera cantilenante, “non siamo tutti così”?
Scegliere la via più facile e comoda (dal punto di vista culturale) e ri-vittimizzare?
Voltarci dall’altra parte per non assumere la nostra porzione di responsabilità?
O – finalmente – fare qualcos’altro?
…ed è subito sera.
PierAnna Pischedda, Psicologa